martedì 4 ottobre 2016

TEMPO DA PERDERE

La  creatività comincia dal nulla. Spesso dal silenzio ed in molti casi dalla noia. 
Già, la noia, ne avete mai provata ora che siete adulti? Da bambini certamente si, ma da grandi le cose cambiano. Non cercate di ricordare quando è accaduto l'ultima volta, rinunciateci, ve lo dico io: tanto tanto tempo fa. Se siete stati degli adolescenti iper attivi forse neppure durante quella fase. La noia oggi va cercata, credetemi, e se siete curiosi fatelo. Sfruttate l'occasione di un pizzico di tempo libero, e se non l'avete, createvela. Oggi il tempo libero ci serve per trovarci qualcosa da fare o finire quanto iniziato. Per una volta state fermi, un piccolo gioco infantile, ed ascoltate quel senso di fastidio che vi prende. Un picchiettio in testa vi dice che, forse, state dimenticando qualcosa, che attorno a voi c'è un problema che solo voi potete risolvere, o una faccenda da sbrigare. Resistete. Scenderà giù verso la gola, come a togliervi il fiato, dandovi il senso del tempo che scandisce qualcosa che sfugge, e poi instillerà in voi il desiderio di muovervi, come a farvi cercare, impegnarvi, lasciandovi in balia del "senza sosta". Se avete resistito senza iniziare alcunché, sentirete tornare su dallo stomaco un vago calore di benessere, un sapore di dolce far nulla, simile ad un liquido in grado di cullarvi lentamente, mentre pensate ora solo a cosa non fare. In quel momento avrete fatto un passo verso la vostra creatività, la fantasia e l'immaginazione. Questi elementi hanno bisogno di tempo per riprendere lo spazio che abbiamo tolto loro negli anni e amano vivere nella palude delle nostre difficoltà, dalle quali non sempre dobbiamo sfuggire. 
Il teatro è soprattutto questo: cercare e scoprire luoghi e lati della nostra esistenza in cui apparentemente siamo scomodi, perché è dalle scomodità che tiriamo fuori ciò che siamo veramente.
Non è solo spettacolo. Può davvero essere utile ad educare noi stessi a conoscere ciò che in realtà evitiamo: noi stessi.

mercoledì 28 settembre 2016

NON ABBIAMO BISOGNO DI PAROLE

Siamo arrivati ad un punto in cui elogiamo troppo spesso coloro che "non si fanno prendere troppo dalle emozioni" ed indichiamo come modelli individui "tutti d'un pezzo" o "equilibrati". Quando siamo adulti potrebbe andare bene (anche se nutro molti dubbi sulla bontà di certi equilibri apparenti), ma quando ci troviamo di fronte a bambini e adolescenti credo che evitare le emozioni - perché ritenute fuori dallo schema di ordine precostituito - sia un errore. Se è vero quello che affermava Sartre sulle emozioni, ovvero che esse sono una "maniera magica di trasformare il mondo", e che attraverso le stesse conosciamo e comunichiamo ancora prima di essere in grado di parlare, perché passiamo la nostra vita a relegarle sul fondo della nostra esistenza, come se fossero un fastidio, un qualcosa che ci pone fuori dalla realtà? 
Troppo spesso rinchiudiamo i più giovani in recinti in cui la consapevolezza delle emozioni e il loro manifestarsi non possono entrare, come se da esse dovessimo scappare per l'incapacità a gestirle.
Ed è ancora più paradossale che negli ultimi anni si sia sdoganato il sesso e il porno ritenendolo "frutto dei tempi", trovandoci invece in imbarazzo quando si parla di emozioni. Forse perché esse ci rendono semplicemente e davvero nudi davanti agli occhi di tutti. 
Credo dunque sia necessario riprendere contatto con le nostre emozioni, e dobbiamo farlo fin da piccoli. Ma come fare? Per alcuni si può provare con la meditazione, con esercizi di mindfulness, sedute di terapia di mille tipi (il mercato ne è pieno); per me invece il contatto con il "gioco" è un inizio. In particolare, il GIOCO DEL TEATRO. Non un teatro fatto di ruoli, schemi, aspettative e pretese, bensì un luogo dove si dia spazio all'individuo,  iniziando  dal primo strumento che la natura ci ha dato: il corpo.
Attraverso esso l'uomo racconta storie, tramanda tradizioni e si mostra per quello che è. La società di oggi troppo spesso ritiene pericolosa la comunicazione non verbale al punto da volerla strumentalizzare od incanalare verso obiettivi precisi, mentre dovrebbe lasciarla esprimere in totale sincerità e rispetto per l'altro.
Attraverso il teatro noi accogliamo prima di tutto noi stessi, per poi rivolgerci verso gli altri senza sovrastrutture o modelli, senza dover rispondere a questi in modo schematico e a volte violento.
Quanta violenza si fa a volte in certe scuole di teatro, o di danza o di musica? Ce lo siamo mai chiesto.
Scrive Helga Dentale "il bambino di oggi è l'adulto di domani. A noi il compito di fermare questa corsa sfrenata che non tiene più di bisogni profondi, globali e indispensabili per una crescita equilibrata"
Partiamo da qui. Dalla consapevolezza del bene come libertà di sentire, creare ed emozionarci.

domenica 25 settembre 2016

IL PUNTO DI PARTENZA

Quando si ha un'idea in cui si crede molto o che ci entusiasma particolarmente, si viene guidati da una sorta di irruenza giovanile che auguro a tutti di provare mille volte nella vita. Perché, se da un lato ti porta a scelte non ancora "mature" o "pronte", dall'altro ti permette di inseguire quell'idea con tutte le tue forze, oltre ogni apparente difficoltà, ogni "scoraggiamento". Insomma, ti autorizza a chiamare quell'idea "sogno".
Questo blog e la pagina collegata sono l'esempio pratico (pur se per ora solo virtuale) di ciò che ho detto, ed il silenzio di questi mesi lo dimostra. 
Non che ora il progetto sia del tutto pronto, così come non sono chiari i contorni di questo contenitore che ha il comune denominatore in un'arte di cui sto conoscendo lati e potenzialità inimmaginabili. IL TEATRO. 
Molti conoscono la mia passione per il palcoscenico, un'attrazione che dura da circa 20 anni, fatti di piccole esperienze (più o meno dilettantistiche) e di esperimenti (più o meno riusciti), che mi ha portato con alti e bassi ad inseguire tutto ciò che si svolge su quelle assi illuminate.
Le luci, si sa, illuminano solo alcune parti dello spettacolo, lasciando il resto all'immaginazione e ai sogni; così da una penombra affascinante è uscito, per me, un teatro oltre l'idea di show, di spettacolo e di performance. Un teatro per i bambini e ragazzi fatto da bambini e ragazzi: un insieme di percorsi ed intrecci in grado far crescere gli adulti di domani secondo un pensiero libero e creativo, attraverso un corpo che sia strumento di creatività e conoscenza. 
Di questo viaggio voglio raccontarvi i passi, i pensieri ed i traguardi che sarò in grado di raggiungere assieme alle persone che incontrerò da oggi in poi, nella mia nuova formazione. Un modo per far sì che l'idea di uno sia l'idea di tutti, senza egoismi o manie di grandezza, senza paura di giudizi. 
Solo esperienza condivisa.
E come in ogni "piccola impresa" che si rispetti anche qui c'è qualcuno che con le sue parole ha soffiato sulle mie vele. Gianmarco Busetto, involontario mentore, Debora Slanzi in grado di portare a zero il mio ego ed  insegnarmi a camminare, Milan Cristina, mia moglie, un vento docile ma energico che  mi ha permesso di tracciare una rotta. 
A loro ho rivelato cos'è il teatro per me.   E qui passo dopo passo lo descriverò a voi. 
C'è un teatro dove non si ha nulla da dimostrare, dove non si temono i giudizi altrui, perché si è liberi di mostrarsi come si è. Un teatro dove non c'è spazio per l'omologazione e si accoglie ogni forma di  corpo che senta il bisogno di esprimersi, dove nessuno è inadatto, dove si trova il tempo e lo spazio di cercare le domande da farsi, senza l'obbligo di aspettarsi preconfezionate risposte.
E c'è un teatro dove si può creare, immaginando, una società possibile, viva e reale.

Come scrisse Gianni Rodari "Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo"



martedì 1 marzo 2016

LA CREATIVITA' E' RISPETTO

Secondo Donald W. Winnicott (psicoanalista) la creatività consiste nel mantenere nel corso della vita qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare e ricreare il mondo. È l’onnipotenza del pensiero propria dell’età infantile. 
La creatività consiste in un certo senso nello sforzo di non smarrirsi mai nella tempesta delle sovrastrutture dell'età adulta; in parte può essere interpretata come un atto di egoismo poichè, attraverso di essa si torna su se stessi, ricercando quanto di più diretto e immediato ci permette di vedere la realtà che ci circonda, invertendo le regole che ci hanno condotto alla maturità.
Il piacere di seguire la creatività non ha pari, perchè non si tratta della sindrome di Peter Pan che rifiuta l'obbligo di crescere, nè della paura di invecchiare, bensì nel bisogno di recuperare un modo diretto e semplice di leggere il mondo esterno.
Per poterlo fare però abbiamo bisogno di lavorare su noi stessi, intraprendendo percorsi che ci mettano a contatto con la parte di noi che abbiamo allontanato, quella che non poneva limit alle idee e che risolveva i problemi a testa giù. A proposito: quanti di voi hanno mai guardato la televisione a testa in giù?  Ecco, in quel gesto si tolgono le immagini i cui canoni vengono sovvertiti e si lascia spazio ai suoni, ai sensi che normalmente ignoriamo.
La creatività dunque, secondo me, non è un modo superficiale di osservare le cose bensì un'ascolto totale di tutto ciò che le compone, che sfrutta nel modo migliore i sensi a nostra disposizione. E nell'età adulta questo procedimento può addirittura essere più soddisfacente perchè sonsapevole.
Ma la consapevolezza si raggiunge lasciando sul piatto i giudizi costruiti sui noi stessi, rovesciando regole imposte e puntando allo stupore delle nostre reazioni. Così facendo puntiamo alla conoscenza di noi stessi in modo assoluto, senza fermarci su ciò che gli altri vedono di noi o addiritura sull'immagine parziale che lo specchio ci restituisce.
Proseguendo su questa via, ci rendiamo conto che la creatività non è più un gesto di egoismo ma addirittura il suo contrario, perchè rispettando ciò che la nostra natura interiore esprime attraverso idee e visioni siamo portati a rispettare ogni singola caratteristica delle persone che ci sono attorno, ascoltando le loro emozioni, le loro idee e le loro opinioni.
Tutto ciò può apparire come uno sforzo sovraumano, soprattutto se nessuno ci ha insegnato da piccoli a sfruttare la creatività, permettondole di andare per strade apparentemente senza senso, ed anzi ne ha contrastato o limitato l'uso sotto il vessillo dei "piedi ben saldi a terra".
Attraverso la creatività invece e il non senso ognuno di noi può crescere molto più sicuro e consapevole dell'emozioni che prova e di ciò che pensa, con la capacità di non innamorarsi troppo delle proprie idee, trasformandole assieme a quelle degli altri.
Vi riporto un dialogo di un famoso cartone animato:


Alice: Volevo soltanto chiederle che strada devo prendere!
Stregatto: Be', tutto dipende da dove vuoi andare!
Alice: Oh, veramente importa poco purché io riesca...
Stregatto: Be', allora importa poco che strada prendi!




sabato 20 febbraio 2016

NEL TEMPO DI UN CAFFÈ

Molti amano le osterie, i bar di paese, le locande fatte di tradizioni, sudore e orologi fermi sull'ultima sagra. Io amo i bar nelle stazioni, dove nel tempo di un caffè nemmeno troppo buono ma bollente si incrociano tutti i paesi, le osterie, le tradizioni e i sudori. 
Un crocevia di suoni ed odori arrivati al binario 20 e saliti sul 2, forse per l'ultima volta, o magari la prima. L'inizio di un lungo viaggio o la fine di uno breve. Per lavoro, per piacere, speranza o dolore.  Di arrivo, di fuga, di incontri furtivi e momenti rubati. 
Amo quei bar, dove si dice tutto e non si dice nulla. Dove le donne delle pulizie cancellano tracce mescolate tra loro, intrecciate in quell'attimo in cui per poco i viaggi si fermano. Nelle osterie si ferma il tempo ma nei bar delle stazioni prende fiato il viaggio di ognuno, iniziato, terminato o semplicemente al palo. 
Allora la mamma che sola spinge il passeggino può essere sulla soglia della porta di un doloroso addio o al cancello di un ritorno quasi insperato e la valigia abbandonata affianco al bancone, la distrazione di una frettolosa partenza o un ripensamento improvviso...mentre dalle scale scende il ragazzo in cravatta pronto all'ennesimo "le faremo sapere".
Nel tempo di un caffè lungo, nei bar delle stazioni si vedono storie tortuose come improbabili binari, in un'apparente mescolanza di anonimie ove balza agli occhi l'essenza di  ogni di ogni viaggiatore. Chi lavora in quei bar è l'ignaro spettatore di umori, storie trascinate e soste obbligate. Molti di loro sognano di fare cambio con gli avventori, così da vivere per un po' la storia di qualcuno altro, cercando una meta lungo altri bar di altrettante stazioni nella speranza che il turno finisca presto. Capita che la ragazza alla cassa si chieda cosa c'è nella borsa griffata di quella donna con gli occhiali scuri o nello zaino della ragazza dai capelli grigi, stretta nelle spalle; la prima annoiata da normalità, la seconda a suo agio nell'indifferenza di tutti, nascosta proprio da se stessa, protetta da una moltitudine di storie per alleviare il peso della propria. Come lei, quelli che in quei bar ci vivono, raccogliendo con destrezza ciò che rimane sui tavoli, non li vede nessuno; la loro storia non ha odori nè suoni o si mescola con quella di altri. Resta appesa ai muri o striscia insolente sul pavimento resistendo a qualsiasi pulizia. Allora può succedere che passando nei bar delle stazioni, oltre agli oggetti, qualche viaggiatore si trovi senza un pezzo di storia o smarrisca un suono a lui caro o, peggio, un odore che lo farebbe restare o partire per sempre. E d'improvviso gli pare di perdere la memoria: succede quando l'anima dei bar delle stazioni di appropria del viaggio di chi ci passa attraverso ed aspetta il momento per viverla al contrario, per gioco, per curiosità, e forse per necessità, combattendo il suo essere soltanto una stazione. Un posto dove nel tempo di un caffè ognuno viaggia o attende di  farlo.

domenica 14 febbraio 2016

MEA LIBERA TUTTI

Siamo cresciuti con l'idea che con la creatività non si potesse campare, magari non tutti ma molti di noi si. I più audaci l'hanno seguita, altri si sono convinti di metterla in un angolo facendo l'errore amorevole di lasciare il suo fuoco accesso, come quello delle caffettiere a casa dei nostri genitori che tra silenziosi borbottamenti effondevano l'aroma per tutta la casa. 
Così in molti la creatività ha continuato a borbottare a fiamma lenta, nel corso del tempo. 
Lo so, qualcuno leggendo dirà di non essere un creativo, di avere i piedi per terra, di fondare la sua esistenza su radici solide e ben ancorate al terreno. Certo. Così appare. 
Ma vi racconto una piccola storia, forse insignificante a prima vista, i cui protagonisti hanno lasciato che quella creatività borbottasse più forte, al punto da lasciare uscire ovunque l'aroma che essa si porta dietro. Un profumo che sa gioco, di immaginazione, di scommesse su loro stessi, e di storie inventate. Recitare per i propri figli, inventando voci e trame da raccontare attorno ad un albero è stato il primo passo per liberare la propria creatività. E noi? Ci siamo mai chiesti se siamo in grado di trovare la nostra di creatività?
E se davvero provassimo ad essere ciò che siamo veramente? 
Ci sono rivoluzioni silenziose, senza scoppi di bombe o parole urlate: sono quelle fatte dentro di noi, magari lottando contro le sovrastrutture di cui siamo fatti. Quei piccoli passi liberatori che inizialmente invertono solamente il punto di vista, e ci fanno essere noi stessi, liberi. 
Ma quando siamo davvero creativi?
Sicuramente quando andiamo oltre i pregiudizi nei confronti di noi stessi, quando superiamo lo scoglio del "io non sono in grado di" o del "non è nelle mie corde". Beh, miei cari, di corde mai suonate  chiedete a quel gruppo di genitori che ho visto inventare, saltare, danzare e raccontare la loro creatività.
A loro dedico le prime parole di questo blog, di questo SPAZIOCREATIVO, invitandoci a liberare la creatività che dorme dentro di noi, oltre gli schemi, i limiti e le paure che sono solo nella nostra mente.
Spero che si possa presto avere un posto "reale" dove liberare la creatività di tutti, senza limiti di età. Il virtuale è solo un veicolo per permettere a questa di circolare liberamente tra le persone. 
Credo che il paese di Salzano ne abbia bisogno, ne senta la necessità. 
Ci vuol è solo uno piccolo sforzo. Uno "sforzo creativo"