sabato 20 febbraio 2016

NEL TEMPO DI UN CAFFÈ

Molti amano le osterie, i bar di paese, le locande fatte di tradizioni, sudore e orologi fermi sull'ultima sagra. Io amo i bar nelle stazioni, dove nel tempo di un caffè nemmeno troppo buono ma bollente si incrociano tutti i paesi, le osterie, le tradizioni e i sudori. 
Un crocevia di suoni ed odori arrivati al binario 20 e saliti sul 2, forse per l'ultima volta, o magari la prima. L'inizio di un lungo viaggio o la fine di uno breve. Per lavoro, per piacere, speranza o dolore.  Di arrivo, di fuga, di incontri furtivi e momenti rubati. 
Amo quei bar, dove si dice tutto e non si dice nulla. Dove le donne delle pulizie cancellano tracce mescolate tra loro, intrecciate in quell'attimo in cui per poco i viaggi si fermano. Nelle osterie si ferma il tempo ma nei bar delle stazioni prende fiato il viaggio di ognuno, iniziato, terminato o semplicemente al palo. 
Allora la mamma che sola spinge il passeggino può essere sulla soglia della porta di un doloroso addio o al cancello di un ritorno quasi insperato e la valigia abbandonata affianco al bancone, la distrazione di una frettolosa partenza o un ripensamento improvviso...mentre dalle scale scende il ragazzo in cravatta pronto all'ennesimo "le faremo sapere".
Nel tempo di un caffè lungo, nei bar delle stazioni si vedono storie tortuose come improbabili binari, in un'apparente mescolanza di anonimie ove balza agli occhi l'essenza di  ogni di ogni viaggiatore. Chi lavora in quei bar è l'ignaro spettatore di umori, storie trascinate e soste obbligate. Molti di loro sognano di fare cambio con gli avventori, così da vivere per un po' la storia di qualcuno altro, cercando una meta lungo altri bar di altrettante stazioni nella speranza che il turno finisca presto. Capita che la ragazza alla cassa si chieda cosa c'è nella borsa griffata di quella donna con gli occhiali scuri o nello zaino della ragazza dai capelli grigi, stretta nelle spalle; la prima annoiata da normalità, la seconda a suo agio nell'indifferenza di tutti, nascosta proprio da se stessa, protetta da una moltitudine di storie per alleviare il peso della propria. Come lei, quelli che in quei bar ci vivono, raccogliendo con destrezza ciò che rimane sui tavoli, non li vede nessuno; la loro storia non ha odori nè suoni o si mescola con quella di altri. Resta appesa ai muri o striscia insolente sul pavimento resistendo a qualsiasi pulizia. Allora può succedere che passando nei bar delle stazioni, oltre agli oggetti, qualche viaggiatore si trovi senza un pezzo di storia o smarrisca un suono a lui caro o, peggio, un odore che lo farebbe restare o partire per sempre. E d'improvviso gli pare di perdere la memoria: succede quando l'anima dei bar delle stazioni di appropria del viaggio di chi ci passa attraverso ed aspetta il momento per viverla al contrario, per gioco, per curiosità, e forse per necessità, combattendo il suo essere soltanto una stazione. Un posto dove nel tempo di un caffè ognuno viaggia o attende di  farlo.

domenica 14 febbraio 2016

MEA LIBERA TUTTI

Siamo cresciuti con l'idea che con la creatività non si potesse campare, magari non tutti ma molti di noi si. I più audaci l'hanno seguita, altri si sono convinti di metterla in un angolo facendo l'errore amorevole di lasciare il suo fuoco accesso, come quello delle caffettiere a casa dei nostri genitori che tra silenziosi borbottamenti effondevano l'aroma per tutta la casa. 
Così in molti la creatività ha continuato a borbottare a fiamma lenta, nel corso del tempo. 
Lo so, qualcuno leggendo dirà di non essere un creativo, di avere i piedi per terra, di fondare la sua esistenza su radici solide e ben ancorate al terreno. Certo. Così appare. 
Ma vi racconto una piccola storia, forse insignificante a prima vista, i cui protagonisti hanno lasciato che quella creatività borbottasse più forte, al punto da lasciare uscire ovunque l'aroma che essa si porta dietro. Un profumo che sa gioco, di immaginazione, di scommesse su loro stessi, e di storie inventate. Recitare per i propri figli, inventando voci e trame da raccontare attorno ad un albero è stato il primo passo per liberare la propria creatività. E noi? Ci siamo mai chiesti se siamo in grado di trovare la nostra di creatività?
E se davvero provassimo ad essere ciò che siamo veramente? 
Ci sono rivoluzioni silenziose, senza scoppi di bombe o parole urlate: sono quelle fatte dentro di noi, magari lottando contro le sovrastrutture di cui siamo fatti. Quei piccoli passi liberatori che inizialmente invertono solamente il punto di vista, e ci fanno essere noi stessi, liberi. 
Ma quando siamo davvero creativi?
Sicuramente quando andiamo oltre i pregiudizi nei confronti di noi stessi, quando superiamo lo scoglio del "io non sono in grado di" o del "non è nelle mie corde". Beh, miei cari, di corde mai suonate  chiedete a quel gruppo di genitori che ho visto inventare, saltare, danzare e raccontare la loro creatività.
A loro dedico le prime parole di questo blog, di questo SPAZIOCREATIVO, invitandoci a liberare la creatività che dorme dentro di noi, oltre gli schemi, i limiti e le paure che sono solo nella nostra mente.
Spero che si possa presto avere un posto "reale" dove liberare la creatività di tutti, senza limiti di età. Il virtuale è solo un veicolo per permettere a questa di circolare liberamente tra le persone. 
Credo che il paese di Salzano ne abbia bisogno, ne senta la necessità. 
Ci vuol è solo uno piccolo sforzo. Uno "sforzo creativo"